Poesie e Narrative

I torricellani e coloro che hanno radici a Torricella sono noti per le loro poesie e narrazioni. Qui presentiamo un campione delle loro composizioni.

LU PISCIARELLE – THE FOUNTAIN by Moira Di Fabrizio

Le cime più alte della montagna

che sorge davanti ai miei occhi

catturano la mia attenzione.

Un paradiso montano senza eguali,

le punte degli alberi sempre verdi come impazzite,

in balia del vento,

sembran salutarmi da lontano.

Chiudendo gli occhi,

respiro

questa fragranza d’aria naturale a pieni polmoni,

che rigenera il mio essere.

Contemplo questa fonte

d’acqua freschissima che scende

per allietare i nostri palati,

con il suo danzare gioioso

si tuffa nella sottostante vasca,

nasce così la rilassante musica

della sorgente che sgorga fra i monti

abruzzesi fino ad arrivare a questo piccolo

fiore di abitazioni chiamato “Ripa Bianca”.

Il fruscio delle piante e la melodia della fonte

fungono da ninna nanna su questo prato

fiorito ed io, con i miei fratelli,

mi abbandono a questa culla naturale.

Traduzione in inglese: Dino Di Fabrizio.

Representation of the Months of Torricella Peligna 1881

I’ so’ gennaro che godo il sereno,

Che gelo l’acqua e induscio il ter- [reno.]

Fra gli àutri misci so lu chiù grosse,

Gelo l’acqua alli fiumi e alle fosse.

 

I’ so’ febbraro e sto ‘ccanto al foche,

Vòto l’arruste e commerso co’ [gioche;]

E commerso con chisti signori:

Tra gli àutri misci i ‘so ‘lu migliore.

 

Marze, marze sbinturate!

Che de carne ‘nn h’a ‘saggiate:

Co’ li broccoli s’è cibate;

Povere marze sbinturate!

 

I’ so’ abrile lu chiù gentile,

Tutti gli àrveri faccie fiorire.

E gli aucelli faccie cantare,

Giòvene e viecchie faccio allegrare.

 

E i’ so’ magge e so lu chiù biélle,

Porto le rose a lu cappièlle;

Ce le porte, ca so ‘nu guappone;

Fra gli àutri misci i’ so’ lu chiù [buone.]

 

I’ so’ giugne che mete le grane,

Mete pe’ valle, pe’ monte e pe’ piane,

E lo mete tutte le semmane:

I’ so’ giugne che mete le grane.

 

Tuti gli misci avete ludate

E de luglie ve sete scordate;

Porte le pale col fie furcone.

Pe’ scamare i’ so’ lu chiù buone.

 

I’ so’ aguste co’ tanta mastrìa,

E cuntente chidunche se sia:

I’ so’ lu mese che facce furore,

Tra tutti gli àutri so’ tu migliore.

 

I’ so’ settiembre molte curtese,

Fine le fratte ve fanne le spese.

E tutte quante i’ facce cuntente;

Nin dienghe pene, nin dienge tur [mente.]

 

I’ so’ uttobre e despense semente

Prepare lu cibu a tutta la gente,

Tra gli àutri misci i ‘so ‘lu migliore.

 

I’ so’ nuviembre co’ luna mancante,

Porto la ronca e l’accetta pesante,

Pe’ fa’ le lene a chisti signore:

Tra gli àutri misci i ‘so ‘lu migliore.

 

I’ so’ deciembre che gele lu viente;

‘Nanze me scallo e ‘rreto me [‘genne.]

Dienghe alla gente turmiente e [dulore:]

Tra tutti gli misci i’ so’ lu peggiore.

 

I’ so’ lu patre de dùdece figlie,

T tutti e dùdece so’ murtali:

E tra le fose, caròfane e gigli,

I’ so’ lu patre de dùdece figli.

 

Dal libro “Tradizioni Popolari Abruzzesi”, scritto da Antonio De Nino e ristampato nel 1970 dalla casa editrice Japadre Editore de L’Aquila. Traduzione in inglese: Mirella Palizzi

Sons and Daughters of Torricella by Ada Ficca

Attraverso i suoi figli Torricella si affaccia nel mondo

e il mondo è entrato a Torricella.

Sarà forse Torricella Peligna il centro del mondo?

Per gli altri no,

per noi Torricellani si.

The Anvil by Roberto Porreca

Scritta nel 1970 da Roberto Porreca e dedicata a Zi Fedele Porreca di ciufielle, il vecchio fabbro del paese

Quando a primavera La mattina

passavo per “Il trattore”,

sentivo come un suono di campane

che parevano d’argento

e il suono che si allargava attorno

mi metteva come un’aria di festa dentro il cuore.

Era l’incudine di Zio Fedele

Che suonava e cantava.

A ogni colpo di martello sopra al ferro rovente,

in mezzo a schizzi d’oro,

le note si alzavano allegramente,

e attraverso la porta spalancata all’aria buona,

volavano verso il cielo tutto azzurro,

pulito e chiaro come una lastra di cristallo.

Si rincorrevano una appresso all’altra,

sopra gli alberi fioriti,

mischiati ai canti degli uccellini e ai strilli delle rondinelle.

Io mi fermavo e guardavo.

Dentro alla bottega annerita dal fumo,

una striscia di sole tagliava l’ombra

e sembrava che giocasse in mezzo a ferri di cavallo,

bidenti, treppiedini e chiavi.

Zio Fedele,

braccia e mani nere

girava e rigirava il ferro arroventato

e con il martello batteva sopra l’incudine,

ora gli dava un colpo forte , ora una carezza.

Sembrava che non facesse sforzo e fatica,

e quando gli dava certi colpi più leggeri e veloci,

sembrava che lo facesse per

divertimento.

E allora dall’incudine ci uscivano certe note pazzerelle,

come un fuoco d’artificio,

e ci nasceva quell’aria di festa

che ti entrava dentro al cuore,

e s’allargava in mezzo alle case,

verso il cielo sconfinato e la campagna in fiore.

 

Adesso l’incudine di Zio Fedele da molto tempo non canta più.

[1] Zi dialettale, Zio italiano = zio – usato come termine di rispetto, piuttosto che per indicare un legame di parentela
Traduzione in inglese: Marion Apley Porreca

Torricella Peligna by Dan Fante

Se

Per ogni uomo

Ci potesse essere

Un tempo

Un luogo

In cui le impronte delle sue stagioni si congiungono

Secondo un disegno

definito Sotto una montagna chiamata Majella

In un paese di antiche rovine romane

E strade quiete spazzate dal vento

E campi di fiori di Van Gogh

In un’esplosione di semi estivi

Schizzati contro un cielo perfetto

Lì quell’uomo potrebbe sorseggiare amicizia

Dolcemente

E serenità.

 

Se questo fosse possibile

Se ogni caloroso sorriso

E ogni giorno di grazia

ricevuta Potessero essere dipinti su un cuore

nudo E colmato dell’essenza di

Dolce gardenia

Quel posto lo chiamerei

Torricella Peligna.

To My Village by Carmine Testa delli Pizzi

Sul colle ameno sorgi, e di lontano

sovrasti il fiume Sangro e l’Aventino,

madre Maiella guardi e quidi il piano

ed il mar da lungi fra l’abete e il pino.

Ristai fra i monti a respirare il sano

Fragrante aria fluida e fino a

mente e cuor ritempra nell’umano

fluire d’opre del fatal cammino.

 

Questa poesia è apparsa sul retro di una cartolina del Santuario della Madonna del Roseto.
Traduzione in inglese: Marion Apley Porreca
Antenati e sincronicità di David Porreca

Perhaps, it is explained by

the many dimensions of the universe,

the membranes of parallel and mirror universes,

that make up our current mask of

cosmological knowing and imagination.

If the fitness landscape

is of innumerable dimensions,

and all the possibilities exist,

simultaneously, in present and future,

then the quantum argument holds.

Synchronicity is possible and explainable.

But, same-named forbearers, of faint

genetic relation, in the Abruzzi hills, on

the premonitory of Torricella Peligna,

must have shared a local landscape,

whose meme and gene soup of imitation,

tumultuously swirled with viscous adherence.

 

How else the non-local convergence?

Forlorn and foreboding mountains, a

bespoken land, a poor peasantry of

unabated ignorance and illiteracy;

spirituality yes, but surely infected

by straw-narrow tunnels of bigotry,

feudal behaviors and superstitions.

Struggling for subsistence and existence,

a culture of hunters and poor-soil farmers;

opportunities and the crop land

mostly spent generations earlier,

before the family name evolved to its present,

and dreams beyond horizons could be entertained.

Then the primal flash—the spark of ignition.

Was it courage or the common thread

of mere copy and replication;

the contagion of thought

that makes the migration gush,

from a indolent spring and despondent trickle?

Hurtling ideas into action, unleashing the hibernation

that devours the ancient community,

expelling its youth, its families, its clans;

the climax ends another

timeless aboriginal dreamtime,

destroying the old to unleash the new.

Is this the memeplex blasted

into its quantum molecular cloud;

or merely the faded hum of all familial

diasporas, as in the granddaughters of Eve?

Is it the promise of abundant life—or the deeper search,

which shadows the risk and makes the quest irresistible?

 

Of those many generation-later

sons and daughters of these migrants,

globally dispersed, of same name and place,

yet of diverse experiences and genealogy,

how do we explain the common thread

of their interests and their chosen lives?

 

The skills, the aptitudes, the adopted fields of expression?

Science, mathematics, engineering, the analytical bent:

coursing so deep; as well the golden threads

of teaching and professing these

arts of technical acquisition and discovery.

Can this be mere coincidence?

From this ancient plot of rural landscape,

the torch of objective knowledge becomes

the beam that lights and illuminates their being.

The deep specifics of this consilience,

casting suspicion on all the usual explanations

for such statistical anomalies.

Its manifest presence in the hearts and minds,

and in the very being of these

non-locally entangled strangers,

so descended from a bleak,

and desolate intellectual heritage,

begs for insight and explanation.

Torricella Peligna was not blessed

to be bathed in the cultural and intellectual stew,

as that of the Central European Christian,

the European Eastern Jew; or the universal

metropolitan.

It imitates more the hollow and ravine country

of Kentucky and coal-mining West Virginia.

Its migrants were rural peasants who largely

manned the steel mills along the Great Lakes,

and unloaded the wharves from Philadelphia to Boston.

A survey of forebears reveals an appreciation

for education as a ascendant step in assimilation and status,

but not as a focal point of profession.

And though the ticket for the next generations of Americans

has always has been the great educational staircase,

the expectation is of great diversity in dispersion.

The plethora of Torricella Peligna’s American grandchildren,

“de Porreca”, of the plain, prominent in the analytics

and sciences is implausible and mathematically unexplainable.

So, you men and women of science what say you?

Is it the absence that drives the choices in the fitness

landscape, and the mere seeking of niches to be filled? Or is something else at work?

Is the gene and meme metaphor, its dance a viral analog

that is enfolded and linked in some implausible way?

Dare we invoke the metaphysical,

the spiritual or the mystical?

Quantum physics meets the genetic-memetic entanglement

at some synchronous Sheldrakian metamorphic level, within the foam of parallel worlds inexorably at work in

the folds of evolutionary time-space?

Some wizened old physicists, controversially say,

the undivided universe of entangled particles,

that non-locally survive attempts to pry apart their affinity,

and their unitary communion, may engage in some

stringy dance, much like the multiverse membranes that mask our observation of ourselves, and hide us from

our own image in the looking glass.

Is it our image that is hidden from us in the matrix?

Or is it our connectedness,

all curled and folded in the many invisible

dimensions of the infinite multiverse,

disallowing us the glorious view into

la mano sorridente della nostra stessa creazione?

 

Incluso nel libro di David Porreca Sixty2: Poenza From Hunter’s Glen copyright 2004 New Beagle Publishing. David, residente a San Diego, California. Ha avuto tre carriere distinte come ufficiale militare, tecnologo e finanziatore di aziende tecnologiche.

To My Mother by Adriana Rosica

Madre mia che sei in terra

fatto di pianto e di silenzio

regalami il ricordo dei tuoi anni

l’ulivo del tuo pane

l’urlo del vento

in cima alla montagna

nelle notti invernali.

Donami I pensieri

stanchi di solitudine

e la forza d’amore

che si e’ fatta tempo

perche’ io sono te

e porto la tua fiamma

nelle mani

e lascio il segno

tuo nel mio domani qui,

su questa terra

 

Dal Notiziario “Amici di Torricella”, numero 13, novembre 1992, pag. 7
Traduzione in inglese: Marion Apley Porreca
Delicate Blond Women by Adriana Rosica

Fragili donne bionde

andavano dal vento

nelle ore segrete

di ombre e di paure.

Il languore lunare

disfaceva le tracce

e l’aurora portava

lunghi veli nuziali.

Ora nel mio paese

le fanciulle

hanno le tenere mani

e sguardi fermi

nelle notti d’amore.

 

Dal Notiziario “Amici di Torricella”, numero 2, maggio 1989, pagina 9
Traduzione in inglese: Marion Apley Porreca